Quasi come se ne avessi sentore nel mio intervento della settimana scorsa, mi ero detta coinvolta e speranzosa di poter seguire tutto quello che Memorie Urbane aveva cesellato, ma il mio karma ha voluto che perdessi l’inaugurazione del 25 Aprile di Etnik e Millo da Basement Project Room a Fondi. Naturalmente ho avuto modo di recuperare in un piovoso pomeriggio ed ho avuto modo di incontrare Alessandro (n.d.r. Di Gregorio), che mi ha raccontato di Basement: idee, progetti, obiettivi. Arte vista a più di 360 gradi, con il rifiuto delle idee in voga, ma con una ricerca estenuante di qualcosa di intenso anche a costo di non venire capiti. Il “Non posso continuare, continuerò” di origine brechtiana. Fino al 2 giugno lo troverete lì tra gli incredibili lavori di Millo ed Etnik, in compagnia di un comodo divano, libri d’arte e buona musica. Non vedo motivi per non passare a trovarlo.

Di Etnik ho già super abbondantemente parlato, ma ho l’onore di mostrarvi il “gesto” artistico che ha fatto per me. Lo ringrazio ancora per questo e per la bella chiacchierata. Vi invito a godere dei suoi lavori in mostra, da non perdere e dei suoi muri, che meritano una visita dal vivo.

Prima di parlare di Millo vorrei sguazzare un attimo nella polemica scatenata dal simpatico “guascone” o forse un poeta metropolitano che ha scritto sotto l’opera di Martin Whatson a Latina, una frase dal significato non troppo carino. Ha fatto arrabbiare tutti, me compresa. Io però, da Seconda Signora, alla fine ho scelto la strada della bonarietà, che non molti condivideranno: il provocatorio testo aggiunge un tono di cafonesco colore al lavoro. Non si doveva fare, ma il muro nel suo aspetto non è stato toccato. Potremmo dire che adesso chiunque passerà di lì, soprattutto il pubblico maschile potrà trovare in quel lavoro un piccolo spunto di riflessione. La sua virile approvazione. Non me ne vogliano i critici, gli artisti e gli addetti ai lavori, ma anche questo è comunicare. Superficialità a tratti, anche questo ci vuole.

Digressione a parte, dicevo di Millo e del suo muro a Fondi, che più che un muro è un vero e proprio mappamondo. Un lavoro che prendi con difficoltà nelle foto, talmente è vasto e dettagliato. Per questo non ho avuto dubbi, ed ho aspettato di vederlo di persona prima di parlarne. La cura del dettaglio che questo artista dà al suo lavoro è cosa assolutamente non trascurabile. Millo usa il bianco e nero per tutto, chi lo conosce lo sa: strade, incroci, macchine, palazzi, aerei e cartelloni pubblicitari. Inquietanti esseri umani si muovono all’interno di questi spazi. Ed io mi sono ammattita per cercare un brano che calzasse “a pennello”. Alla fine ho scelto come titolo “Trouble with dreams” per richiamare gli Eels. Con questi percepivo di essere vicina ma di non centrare la giusta assonanza artistica, ed alla fine ho optato per un musicista un po’ particolare: Daniel Johnston, con la sua “Devil Town”.

Al centro dell’opera di Millo si staglia un gigante sospeso con il corpo fatto a fette, sezionato, perlustrabile al suo interno. Vuoto.

Io ho fantasticato che il soggetto del muro, quasi fluttuante nello spazio circostante, canticchiasse queste parole:

I was living in a Devil Town

Didn’t know it was a Devil Town

Oh, Lord, it really brings me down

About the Devil Town

And all my friend were vampires

Didn’t know they were vampires

Turns out I was a vampire myself

In the Devil Town

I was living in a Devil Town

Didn’t know it was a Devil Town

Oh Lord it really brings me down

About the Devil Town

In quello che fa, Millo mette un profondo senso critico, sembra quasi serioso. In realtà è uno spasso. Prende il cinismo che ci avvolge e lo scarica tutto nelle opere. Ci mette alla berlina, ci fa vedere come siamo, ritraendo il nostro tutto singolare cosmopolitismo. Persone in scatolette chiamate palazzi, in gabbie di ferro chiamate macchine, un crocevia di buio.

Ci espone il “come siamo diventati” senza omaggiare i nostri destini di speranza. Cinismo e realismo. Città come la prigione di Alcatraz, dalla quale non si può sfuggire. Lo schizzo che ha “dedicato” a me, mi ha fatto capire quanto humor nero ci sia in questo artista. Il disegno riprende lo sfregio al muro di Latina. L’aspetto dissacrante di questo artista è tale da restare attoniti.

Nell’esposizione di Fondi si assiste ad una sorta di studio del lavoro che sta per iniziare a Londra dal titolo “Look inside us we are empty”. Il messaggio è chiaro: nessuna speranza, solo cieco consumismo e insoddisfazione. Siamo ormai così assuefatti che non rimane niente neanche dentro di noi. Ed allora lo spazio della Basement Project Room, pieno di luci al led accecanti, pareti bianche, cornici bianche, con i lavori di Millo, è diventato la base lunare di “2001 Odissea nello spazio” e ha fatto riaffiorare la stessa sensazione provata guardando le super illuminate scene di Shining, che negli anni ho scoperto essere legate alla teoria del perturbante di Freud e che Kubrick mi perdoni per questo doppio furto di associazione. La luce come inquietudine e come contraltare nientemeno che il mondo colorato di Etnik. Da non perdere, assolutamente.